Biografia

Di Prospero Lolli, il futuro padre Matteo d’Agnone, sappiamo che nasce ad Agnone (Molise) nel 1563 ma non siamo a conoscenza del giorno e del mese effettivo della nascita, come del resto non siamo in possesso della documentazione dell’iniziazione cristiana. Anche intorno alla sua famiglia, che viene descritta come agiata economicamente, non siamo sufficientemente informati. Da una testimonianza coeva sappiamo che il giovane Prospero è un brillante studente: «molto quieto e modesto e di bellissimo ingegno»[1].

All’età di diciotto anni, per cause non chiare, Prospero esce di casa con un fucile ed “accidentalmente” parte un colpo che uccide il piccolo Donatantonio Cellilli di anni sei. Dalla docu­mentazione rinvenuta sappiamo che il Lolli non si presentò al processo ma per la pena inflitta sappiamo che il suo gesto fu giudicato involontario. Infatti non venne condannato al carcere ma al pagamento di una somma di denaro[2].

Il Servo di Dio non rispondendo alla convocazione in tribunale dovette andar via dal proprio paese natale e sappiamo che si recò a Napoli dove ha studiato filosofia e medicina. Dalla testimonianza coeva di Enea Mancinelli apprendiamo che il Servo di Dio ha seguito anche corsi di diritto ed ha frequentato in modo continuato i padri Gesuiti di Napoli e il loro oratorio. Il giovane Lolli sembra che volesse entrare nella Compagnia di Gesú ma un suo amico, il futuro padre Tommaso da Trivento, lo indirizza verso la spiritualità cappuccina[3]. Egli aderirà a questa proposta spirituale perché l’esigenza di vita cappuccina rispondeva meglio al suo bisogno di una scelta radicale di vita dedita alla preghiera e alla penitenza.

Entra nel noviziato di Sessa Aurunca (CE), della provincia religiosa di Napoli, nel 1582 e l’anno dopo farà la sua professione in questa famiglia religiosa. Durante l’anno di noviziato moriranno entrambi i genitori. Prosegue i suoi studi teologici ad Aversa (NA). Nel frattempo la famiglia fa in modo che venga trasferito nella provincia religiosa di sant’Angelo, presso il convento di Serra­capriola (FG)[4]. Giunto in questa località della Capitanata insegna logica ai suoi coetanei. Vista la sua preparazione culturale i superiori lo invitano a continuare gli studi a Bologna presso lo studio generalizio di Monte Calvario. In questa città viene ordinato sacerdote sabato 19 settembre 1592.

Dopo l’ordinazione inizia il ministero della predicazione da parte del Servo di Dio. Siamo a conoscenza delle sue prediche grazie al Fasciculus Myrrae cioè un manoscritto di omelie e di appunti scolastici composto a partire dal 1594. Nel 1596 è chiamato a reggere il convento di Vasto (FG) come guardiano ed in contempo insegna filosofia. Nel 1598 predica nel suo paese natale e in questa occasione chiede perdono alla madre di Donatantonio di cui anni prima si era macchiato della sua morte. Sempre nel 1598 è nominato Provinciale, carica che manterrà fino al 1601. Il giudizio sul suo superiorato dalle poche fonti in nostro possesso è valutato positivamente dai suoi confratelli.

In seguito svolge la funzione di maestro e guida dei novizi a Vasto: «il suo metodo educativo aveva come segreto pedagogico il perfezionare se stesso per dirigere gli altri»[5]. In questo tempo scrive anche un piccolo testo per i novizi: Quarantacinque motivi spirituali divisi con ordine per tutti i giorni della settimana. Continua anche ad insegnare e a predicare.

Nel 1601 è nominato visitatore della provincia religiosa di Bari. Nel 1602 è nominato definitore provinciale con l’incarico di lettore venendo assegnato al convento di Serracapriola di cui è anche guardiano.

Nel 1614 è trasferito presso la comunità di S. Elia a Pianisi. La sua salute inizia un lento declino tanto che i medici consigliano di trasferire il Servo di Dio presso un’altra comunità per “cambiare aria”. La scelta cadde su Serracapriola. Ad inizio ottobre 1616 è accompagnato da alcuni confratelli a Serracapriola dove si spegnerà dopo pochi giorni, il 31 ottobre, all’età di 53 anni.

Le cronache raccontano che la partecipazione ai funerali di padre Matteo d’Agnone da parte dei confratelli e del popolo di Dio fu viva e sincera. In molti cercavano di ritagliare pezzi del suo abito per conservarla come reliquia: «Sei mesi dopo il decesso, i padri Simone da Orsara e Girolamo da Serracapriola, insieme a fra Raffaele da Agnone, presi dalla curiosità di rivedere il corpo del Servo di Dio, decisero di scendere nella tomba comune. Un giorno, durante l’ora di silenzio regolare, si calarono nella tomba, schiodarono la cassa e trovarono il corpo intero, la bocca alquanto aperta e videro la lingua cosí vivace e rubiconda che rimasero tutti pieni di consolazione e richiusero cassa e tomba»[6]. Tre anni dopo il p. Girolamo da Napoli scese nella tomba del Servo di Dio e trovò il corpo intero tranne la testa che era alquanto rovinata. La memoria si mantenne viva nel tempo tanto che nel 1751 venne effettuata la prima ricognizione sul corpo del Servo di Dio. Le vicende storiche successive hanno minato il ricordo del Servo di Dio, ricordo che comunque non è andato perduto.


[1] Biographia ex Documentis, p. 270.

[2] Sull’episodio cf. particolarmente pp. 270-273.

[3] Biographia ex Documentis, p. 275.

[4] Ivi, 289-291.

[5] Ivi, 312.

[6] Ivi, p. 330.